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Bartali il giusto raccontato da Ormezzano

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Targa Bartali a Gerusalemme
Andrea Bartali mostra il nome del padre Gino nel giardino dei Giusti tra le Nazioni a Gerusalemme.

La notizia era nell’aria, ma adesso è diventata ufficiale. Gino Bartali è diventato un Giusto tra le nazioni, il riconoscimento che una commissione guidata dalla suprema corte israeliana conferisce ai non ebrei che si sono adoperati, a rischio della vita, per salvare i perseguitati dalla Shoah. Il suo nome è inciso sul Muro d’Onore nel Giardino dei Giusti presso il museo Yad Vashem di Gerusalemme. Un lato  sconosciuto della sua vita «perché – come diceva Bartali quando qualcuno cominciò a raccontare i suoi gesti di eroismo – il bene si fa ma non si dice». Al Gino Giusto tra le nazioni Gianpaolo Ormezzano aveva dedicato un racconto pubblicato da BC: ve lo riproponiamo, come omaggio a Gino Bartali, grande campione e grande uomo.
Ginetto il Giusto
Un atleta amato e popolare. Un uomo senza compromessi. Un postino di documenti falsi per salvare centinaia di ebrei. Un Bartali tutto da scoprire, dalla penna di un campione del giornalismo.

di Gianpaolo Ormezzano

Ho letto libri e giornali, ho parlato con chi lo conobbe, ho studiato il personaggio. Gino Bartali ciclista, forse l’italiano più italiano tipico, complesso, totale. Classico e incredibile. Incredibile perché classico. Dico di un campione pedalatore di una volta, almeno da ciò che mi risulta: perché io sono un archeologo dilettante del tempo e del tempio dello sport. Mio padre me ne ha parlato come di un vicino di casa. Correva, vinceva ed era come se vincessero tutti con lui.

Altra cosa, altro uomo il suo grande rivale, Fausto Coppi: correva e vinceva ecumenicamente, con distacco che non voleva dire soltanto margine di vantaggio sugli inseguitori, era anche distacco dalla massa. Come un re che conquista le terre, le fa sue e poi chiama la sua gente a coltivarle. Bartali spartiva direttamente, lì sul traguardo, la vittoria con te tifoso, con mio padre e prima ancora con mio nonno. Nessuno ha saputo spiegarmi bene il perché, tutti mi hanno fatto capire che era così. Coppi teneva la vittoria per sé, al massimo lasciava che tu lo adorassi; e vinceva in solitudine nobile. Anche Bartali arrivava primo e solo, ma era come se tu fossi al suo fianco.
Coppi ha avuto il doppio delle donne di Bartali: due contro una. Coppi votava democristiano ma non lo diceva, Bartali era cattolico molto praticante, aveva chiesto di essere sepolto con addosso il saio dei terziari carmelitani, e così è stato, il 5 maggio del 2000, ma sembrava uomo di sinistra, tanto era popolare anzi popolaresco. Mai stati, in Italia, due campioni tanto affiancati dallo sport e tanto disgiunti dalla vita. Coppi è diventato così ricco che, morto a quarant’anni di malaria non scoperta in tempo, lasciò tanti soldi alle sue due famiglie e tutti gli eredi pensarono bene di dividerseli senza arricchire gli avvocati. Bartali riuscì a non diventare ricco nonostante avesse cominciato a vincere prima di Coppi (lui era del 1914, l’altro del 1919, entrambi furono fermati dalla guerra). Investì in biciclette, lamette da barba, vino, non fece fortuna.

 

I due si rispettavano, non si amavano. Coppi faticò a nascondere la sua vicenda privata di uomo con due condanne e, quando la cosa fu nota, esplose uno scandalo nazionale. Bartali riuscì a gestire due sue vicende altamente pubbliche, che segnarono la storia dell’Italia, senza assumere quella parte di protagonista che pure gli sarebbe spettata, come una vittoria conquistata pedalando. Due vicende legate ai tormenti di quell’Italia di cui lui era figlio, profondamente figlio.

Ricordo il primo fatto, da come l’ho raccolto dalla storia letta e dalle parole dei miei vecchi. Tre anni dopo la fine della guerra, il 14 luglio del 1948, a Roma, uno studente di estrema destra, Antonio Pallante, sparò alcuni colpi di pistola contro Palmiro Togliatti, leader del partito comunista e ministro della Giustizia in un governo di coalizione del primo dopoguerra. Con Togliatti sospeso fra la vita e la morte, scoppiarono in Italia tragici moti di piazza, ci furono vittime anche fra la polizia. Molti italiani tenevano e usavano ancora le armi impiegate nella guerra partigiana. Mentre dall’ospedale arrivavano notizie sulla lenta ma progressiva ripresa dell’uomo politico, Bartali impegnato nel Tour de France recuperava venti minuti sul francese Jean Bobet capoclassifica, da settimo diventava primo vincendo tre tappe montane di seguito, staccava Bobet e tutti, indossava la maglia gialla e la portava a Parigi dopo ancora una vittoria di giornata: primo alla fine con distacchi enormi su Schotte belga, Lapébie francese e proprio Bobet, a oltre mezz’ora. Con l’Italia tutta che seguiva alla radio le sue imprese, placava la discordia, spegneva l’odio nell’entusiasmo, scendeva in piazza ma per acclamare il campione.

Il presidente del consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, ringraziava ufficialmente Gino Bartali pacificatore del paese. Era però lo stesso Bartali a rifiutare sempre il ruolo miracolistico assegnatogli da molti, De Gasperi in testa: macché Italia salvata da una possibile guerra civile, diceva, soltanto il dovere di atleta e cittadino compiuto sino in fondo.
Bartali era fatto così, credo che me lo abbiano raccontato bene. Aggressivo con gli altri, timido con la storia, quella sua e quella di tutti. Non ha mai voluto usare la sua figura di cristiano e la sua popolarità di campione per fare carriera (anche politica, benché sollecitato dalla Democrazia Cristiana che governava il paese) fuori dal ciclismo, dove pure ha conosciuto, oltre alla classe di Coppi, tante sfortune e, tutto sommato, pochi guadagni.

AVEVA TENUTO TUTTO PER SÉ E DEL SUO CORAGGIO SI È SAPUTO SOLO DOPO LA SUA MORTE. QUALCOSA ERA PERò TRAPELATO DA UN LIBRO INGLESE

Del Bartali partigiano capace di rischiare la vita nell’Italia occupata dai nazisti, capace di salvare tante vite, si è saputo soltanto qualche anno dopo la sua morte. Come quasi tutti, compreso il figlio Andrea che lo confessa nel libro sul padre, pubblicato da Limina. Colpa un poco della disattenzione generale, se si pensa che di questo Bartali segreto si era parlato addirittura in un film prodotto per la radiotelevisione italiana, interpretato da James Mason e Maximilian Schell, girato sulla base di un libro scritto da Alexander Ramati, polacco, corrispondente di guerra dell’armata britannica del generale Montgomery. Entrato con l’esercito liberatore nella città di Assisi, quella di San Francesco, Ramati aveva sentito parlare di quel Bartali partigiano, e dopo un bel po’ di anni era tornato sul posto, raccogliendo notizie per il libro, intitolato Assisi underground.

Lo stesso Bartali, saputo che questo film si era permesso di violare il suo riserbo, aveva cercato invano di vietarne la diffusione, persino minacciando querele (ma a chi, alla Storia?). Lui anche in questo caso riteneva di avere fatto soltanto il suo dovere: questa volta di cittadino, di democratico, però salvando, secondo Ramati, quattromila ebrei dalla deportazione…
Lo conquistò la proposta, arrivatagli da un importante prelato della sua Firenze, di trasportare, col pretesto degli allenamenti, denaro e documenti preziosissimi per aiutare persone che volevano sottrarsi ai tedeschi, soprattutto ebrei che dovevano lasciare l’Italia, per sfuggire ai campi di concentramento, e che si erano rifugiati presso il Vaticano. Alcuni episodi legati all’occupazione nazista, la caccia all’uomo e anche le stragi efferate avevano colpito Bartali, spingendolo alla constatazione di pesanti ingiustizie e alla voglia di impegnarsi per combatterle, e, se possibile, per evitarle. Un impegno da cristiano prima ancora che da partigiano.

SFRUTTAVA LA SUA FAMA PER OTTENERE AL MERCATO NERO GENERI ALIMENTARI CHE POI DISTRIBUIVA A CHI NE AVEVA BISOGNO

Per questo sfruttò la sua fama anche per ottenere, al mercato nero, cibi altrimenti introvabili e distribuirli ai più poveri. Questo Bartali ha corso dei rischi fisici effettivi, molte volte. Ebbe un incontro drammatico con il maggiore Carità, fascista e noto torturatore, finì in prigione per qualche giorno: accusato di aiutare gli ebrei, disse che aiutava chi aveva fame, raccogliendo generi alimentari presso contadini suoi tifosi. Era il famoso campione Bartali, dovettero credergli. Rischiò anche di mettere nei guai la sua famiglia, che fu costretta a molti spostamenti temendo irruzioni dei tedeschi e dei repubblichini. Non per nulla il presidente della Repubblica, Azeglio Ciampi, gli ha assegnato alla memoria la medaglia d’oro al valore civile, consegnandola alla vedova il 25 aprile 2006.

Il ciclismo ha avuto un peso importante nella vicenda partigiana di Bartali, un ruolo enorme, e sotto due aspetti. Primo: lui era celebre (aveva già vinto il Tour de France e due Giri d’Italia) e poteva persino arrivare a scambi di pareri sul mondo della bicicletta, ai posti di blocco, con soldati italiani e tedeschi che praticavano il suo stesso sport, conoscevano le sue gesta e lo lasciavano passare senza sospetti, casomai chiedendogli l’autografo: fra l’altro indossava quasi sempre una maglia con la scritta “Bartali” vistosissima. Secondo: la bicicletta gli serviva per spostarsi velocemente, col pretesto degli allenamenti, in una vasta parte dell’Italia, portando documenti nascosti nelle tubature del telaio. Ci sono episodi clamorosi: la bicicletta mitragliata da un aereo angloamericano i cui occupanti avevano scambiato le sue cromature per parti di un cannone, il finire nei fossati ed anche tra il liquame delle fognature per evitare fermate e perquisizioni, il passare ad alta velocità posti di blocco, con i soldati tedeschi che gli sparavano dietro senza riconoscerlo.
Bartali era così schivo e pudico perché voleva essere Bartali solo nel ciclismo, con i soprannomi preferiti: grande vecchio, uomo di ferro, gigante della montagna, l’intramontabile. Per il resto era allergico alla celebrità.