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Gli assalti di Boccioni

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Umberto Boccioni - Autoritratto
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Vittoria Colonna

Vittoria Colonna è la dama di compagnia della Regina Elena. Una ciclista, come la Regina. Così abile da giocare a polo in bicicletta. Figlia di Marcantonio Colonna e Teresa Caracciolo. Ai tempi di Bonifacio VIII i Colonna si azzuffarono a morte con i Caetani. Vittoria, invece, andò contro la storia e sposò Leone Caetani, studioso dell’Islam. È una sportiva. Audace, ama le ascensioni in pallone. Per gli inglesi è “The Ballooning Princess”. La sua bellezza è mozzafiato. È immortalata da Boldini e da Emil Fuchs.
Ma Umberto Boccioni non la dipinge. La ama.

Nel 1913 aveva dipinto Dinamismo di un ciclista, oggi nella Collezione Guggenheim a Venezia, accanto a Au Vélodrome di Jean Metzinger, che ritrae Crupelandt mentre vince la Roubaix del 1912. Anche Boccioni pedala. Quando l’Italia entra in guerra, con tutti i futuristi è nella terza compagnia del Battaglione lombardo dei volontari ciclisti.
Il 24 ottobre 1915 partecipa alla battaglia di Dosso Casina, presso il Monte Altissimo, una scaramuccia facile, e Marinetti scrive di getto Con Boccioni a Dosso Casina.
Era entrato in guerra con entusiasmo. Ma la guerra è morte, freddo, fango. Abbrutisce e porta via. «Sognavamo tutti le Termopili, che non ci vennero concesse», scriverà Anselmo Bucci. Il Battaglione viene sciolto il 15 dicembre. E Boccioni, con i bellicosi futuristi, torna a casa. Il 6 giugno 1916 incontra Vittoria a Pallanza, il giorno dopo va in barca all’Isolino a trovarla. E il flirt sboccia. Il primo luglio torna a Pallanza e per una settimana è ospite della principessa nella “camera verde” con vista sul lago. E il ciclista guerriero arde d’amore.

Dinamismo di un ciclista - U. Boccioni - 1913
Dinamismo di un ciclista – U. Boccioni – 1913

L’8 luglio le scrive: «Vi amo, avete cancellato tutto. Siete superiore a tutto». Il 12 di nuovo: «Voi mi avete illuminato…Vedo il piccolo porto con i vasi verdi e i fiori azzurri. Vedo i lumi di Stresa, il Mottarone e le isole sorelle addormentate. Vedo verde e azzurro! Sono i colori della mia pittura. Il verde della mia speranza, l’azzurro del mio sogno!». Richiamato alle armi, il 26 luglio parte per Verona. «Cambi di busta e calligrafia spesso, per non suscitare commenti» scrive Vittoria. Inutilmente. Le lettere di Boccioni non le arrivano mai, intercettate da Ada, la suocera.
Al Reggimento, invece di biciclette, trova i cavalli. Vuole imparare a cavalcare per Vittoria, elegante cavallerizza. La sua cavalla si chiama Vermiglia. Un nome colorato adatto a un pittore. Il 16 agosto a Verona, mentre è in sella, da una curva sbuca un camion.  Vermiglia, spaventata, s’impenna e lo rovescia. Boccioni batte la testa tra i sassi. Impigliato a una staffa, Vermiglia lo trascina in un prato, dove si mette a brucare. Così Boccioni muore all’alba del 17 agosto a 33 anni. Nel portafoglio trovano l’ultima lettera di Vittoria, datata 6-7 luglio.
Quel 17 agosto, ignara, Vittoria gli scrive ancora. Solo il 19 legge la notizia della sua  morte.
Va nel giardino. Riempie una cesta dei fiori più belli. Prende il treno per Milano e la porta nell’atelier di Boccioni. Va a trovare la madre. Boccioni sognava il verde e l’azzurro.
Ma lo aveva tradito il vermiglio. Il colore del sangue.