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W la bici viva: finale in crescendo e ospiti a sorpresa. Anche di gran peso

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W la bici viva ha riservato ampio spazio anche alle iniziative dedicate ai ciclisti più giovani.

Continua a Feltre, fino a domenica 15, il festival W la bici viva, un’occasione non solo per incontrare artisti, scrittori, musicisti, giornalisti, imprenditori accomunati dalla medesima passione per la bicicletta, ma anche per parlare di sport con atleti che magari, con i pedali, sembrano, ma solo sembrano, avere poco a che fare. Come Paolo Vidoz, gigante della boxe, medaglia di bronzo olimpica prima e campione europeo dopo tra i pesi massimi. Così lo racconta a BC Marco Pastonesi. Il programma completo degli incontri e degli appuntamenti lo trovate qui.

“Ero un passista: andavo al passo in salita. Ero un pianista: andavo piano in pianura. E come se non bastasse, ero anche un pericolo: andavo – purtroppo – troppo forte in discesa”. “Ho sempre amato la bicicletta: è lei che a un certo punto ha smesso di amare me”. “Dopo qualche anno in cui l’ho abbandonata, adesso mi sta tornando, prepotente, la voglia di tornare in bicicletta. Quella elettrica”.

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Paolo Vidoz “ciclista”.

Ospite al festival incontra gli studenti delle medie di Fonzaso, nella Manifattura Valcismon, l’eccellenza italiana dell’abbigliamento da ciclismo (e anche da montagna). Dei relatori era il meno competente: lui, medaglia di bronzo olimpica e campione europeo di pugilato, accanto a Antonio Uliana, professionista su strada negli anni Cinquanta e Sessanta, Franco Testa, oro (a Roma 1960) e argento (a Tokyo 1964) nel quartetto dell’inseguimento su pista, e Andrea Peron, campione del mondo e vicecampione olimpico nel quartetto della cento chilometri a cronometro su strada e poi professionista dal 1993 al 2006.

A parole, a gesti, a simpatia, Vidoz si è confermato il massimo: “Tutta colpa di un cartone animato in tv, si chiamava ‘Rocky Joe’, per imitarlo decisi di darmi alla boxe”, “Da Rocky Joe a Rocky Balboa, ho anche la sua colonna sonora nel telefonino”, “Il colpo decisivo furono le vittorie dei pugili italiani all’Olimpiade di Los Angeles, stavo sempre davanti alla tv, fu lì che cominciai a sognare l’oro olimpico”, “Ci arrivai vicino, mi mancò un pelo, e quel maledetto pelo ha continuato a mancarmi in tutto quello che ho fatto”, “Devo il mio titolo europeo a un’intossicazione alimentare, non quella del mio avversario, ma quella dell’avversario del mio avversario: pesce avariato, fu costretto a rinunciare, mancavano cinque giorni all’incontro, la Federazione interpellò i 16 primi sfidanti della graduatoria, che rifiutarono, io ero il diciassettesimo e accettai perché mi stavo già allenando per un altro match”.

Vidoz ha messo tutti – si fa per dire – k.o.: “Tentai di far decollare la mia carriera negli Stati Uniti. Nel contratto era scritto, in grande, che mi avrebbero dato un milione di dollari e, in piccolo, che non me li avrebbero dati se avessi perso una volta. Finché una volta persi”, “Abitavo in un appartamentino nel New Jersey, d’estate faceva 40 gradi, d’inverno meno 10”, “Avevo una Dodge di sedicesima mano dotata di aria condizionata, solo che, se l’accendevi, si spegneva il motore”, “Che cosa faccio dopo che ho finito la mia carriera da pugile? Mangio”, “Ho un agriturismo, si chiama ‘Alla Madonna’, è un paradiso del mangiare e del bere, nel senso che si mangia e si beve da Dio e non si paga un’ostia”.

Il tema dell’incontro era “Il bello dello sport”. Su questo Vidoz è stato lapidario: “Il bello dello sport? Io no”. Ne ha suggerito un altro: “Come fallire prima nello sport e poi nella vita”. E giù a ridere.