Nel cuore di Bologna, precisamente nel cortile interno di Porta Pratello in via Pietralata, è stata inaugurata la Casa dei Rider, un’iniziativa che nasce in analogia a quanto già visto in altre città d’Italia (Napoli) ed Europa (Parigi). L’obiettivo del progetto nato grazie alla collaborazione tra Arci, Cgil e Caritas è offrire un punto di ritrovo per i ciclofattorini che in città, alla fine del turno, possono riposare, socializzare e trovare consulenze su tematiche sindacali e contrattuali. Per il momento la Casa dei Rider di Bologna è aperta il venerdì e il sabato dalle 16 alle 20. Luoghi del genere si sono diffusi negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia quando chi consegnava cibo in bicicletta si è rivelato fondamentale per la continuità degli affari di molti locali.
Commentando l’apertura della Casa dei Rider il sindaco Matteo Lepore si è detto soddisfatto, soprattutto per il percorso intrapreso su questi temi dal capoluogo emiliano. «Noi siamo stati la prima città a sottoscrivere una carta per la difesa dei diritti dei lavoratori digitali nel 2018 – ha spiegato il primo cittadino, presente all’inaugurazione -. Da allora ci sono state delle novità, un impegno dei vari governi, una direttiva nazionale, purtroppo per ora solo sulla carta, perché i lavoratori che sono sotto le piattaforme continuano a non avere contratti adeguati». Ricordiamo che Bologna da tempo si è affermata sul panorama nazionale per essere diventata la prima Città 30 d’Italia: sulla maggior parte delle strade urbane le auto infatti non possono superare i 30 km/h. Al netto dell’opposizione – in primis del ministro dei Trasporti Matteo Salvini – i dati hanno dato ragione alla giunta. Sono diminuiti i morti tra gli utenti attivi della strada e il numero degli incidenti.
Anche a livello europeo, assistiamo ad aperture analoghe. Rappresentanti della gig economy, i rider devono spesso fare i conti con sfruttamento, assenza di diritti e di tutele. In Italia si sono verificati anche casi di caporalato digitale. Sono il sintomo di un modello di business che si basa spesso su lavoratori stranieri, con scarsa conoscenza dell’italiano e dei propri diritti. A Milano anni fa è stato delineato un identikit eloquente del popolo dei rider. progetti come Casa dei Rider rappresentano non solo un supporto concreto per i lavoratori, ma anche un modello di inclusione e solidarietà replicabile in altre realtà.