È lotta in Gran Bretagna dove i ciclisti e le associazioni si oppongono all’obbligo del casco in sella proposto dal governo nell’ambito di una riforma del codice della strada. Scelta con cui i politici ritengono di tutelare chi pedala in caso di incidenti.
Dall’altra parte ci sono però i ciclisti britannici e associazioni come Cycling UK che criticano l’idea del casco obbligatorio prendendo l’esempio dell’Australia, paese che nei primi anni Novanta aveva introdotto questa misura. Tra 2011 e 2017 infatti la percentuale di ciclisti in Australia è scesa dal 40 al 34% secondo il National Cycling Participation Survey. Calo che in Gran Bretagna spiegano anche alla luce dell’obbligo del casco come disincentivo all’utilizzo della bicicletta.
Una posizione scettica su provvedimenti che impongano il casco ai ciclisti in ogni situazione è fatta propria in Italia anche dalla Fiab, che consiglia il casco ma preferisce la libertà dell’elmetto a seconda delle esigenze e del ciclista. Perchè la sicurezza, prima ancora che nel casco, sta nell’aumento del numero di chi pedala nelle strade: detta con un efficace slogan, safety in numbers.