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Cycling Palestine: quando pedalare è un atto politico

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Pedalare non è solo movimento e aria fresca, ma anche un gesto di libertà. A sostenerlo è il paramedico palestinese Sohaib Samara, che insieme ad altri riders palestinesi della città di Ramallah, in Cisgiordania, ha dato vita nel 2016 al gruppo Ramallah Riders.

I fondatori cominciarono a offrire tour settimanali in bicicletta che hanno attirato principalmente amici intimi e appassionati del ciclismo ma poco attivi e scoraggiati dalle restrizioni alla libertà di movimento. Nel 2020, il gruppo, che conta oltre 3mila membri, 15mila follower attivi sui social media e un un team di 70 ciclisti, si è ampliato su tutta la West Bank e ha cambiato il proprio nome in Cycling Palestine per omaggiare l’intera comunità.

Cycling Palestine, pedalare contro la paura

Ma cosa ha spinto Sohaib a intraprendere questa strada? Per rispondere alla domanda il medico usa un’aneddoto: un giorno, mentre si trovava in giro in bici, lui e un suo amico furono fermati da una pattuglia dell’esercito israeliano, e in quel momento Samara ha ammesso di aver sentito i soldati chiedere ai propri superiori in ebraico se dovevano sparare ai due ciclisti.

“Non avevo paura per me stesso perché alla fine della giornata, se morirò, morirò”, ha detto Samara. “Ma ero preoccupato che se avessi cercato di difendermi o addirittura di discutere, avrebbero potuto far saltare in aria la casa della mia famiglia”. Il tuo cervello inizia a vagare in luoghi bui quando, davvero, vuoi solo continuare a pedalare”, ha poi concluso.

Anche le donne in bici

“Viaggiamo da un villaggio all’altro, per riconnettere i palestinesi alla loro terra, dopo che ci è stato detto che non è tua” sostiene la cofondatrice di Cycling Palestine, Malak Hasan, un master in comunicazione all’Università di Swansea.

È stato proprio nella città gallese che Hasan ha maturato il suo amore nei confronti del ciclismo, “a Swansea, ho comprato una bici usata e mi sono innamorata del ciclismo, guidando per miglia. Ma quando sono tornata in Palestina, ho deciso di conentrarmi ed  affrontare chiunque mi dicesse che una donna non dovrebbe andare in bicicletta”.

In questa occasione Hasan conobbe Samara,e con lui fondò, Cycling Palestine, iniziando con un viaggio di oltre 40 km da Gerico a Tubas. Questo club è aperto alle donne e, grazie anche ad Hasan, una donna che gira in bici per la West Bank è ora più accettata.

“Il ciclismo in Palestina è uno strumento per il cambiamento” continua Hasan, “rispetta l’ambiente ed è il miglior modo per rompere il ghiaccio. Ogni volta che siamo in viaggio, qualcuno vuole parlarci, scoprire chi siamo” conclude.

L’occupazione in West Bank

In Cisgiordania, vigono delle forti restrizioni alla libertà di spostamento: secondo l’ONU, l’occupazione israeliana impone 705 ostacoli alla libera circolazione dei palestinesi, tra cui checkpoint militari in cui solo quelli dotati di permesso possono passare, una muro di 440 miglia e diverse pattuglie di soldati che possono intraprendere misure di detenzione.

“Tra ogni valle e la successiva c’è un insediamento israeliano”, ha detto Hasan. “Se vuoi pedalare per 50 km, dovrai affrontare almeno due checkpoint e un insediamento, forse una torre di sorveglianza, pattuglie; la continuità è sempre interrotta. ”

Uno dei recenti tour di Cycling Palestine è stato un tour di più giorni di 70 persone che ha seguito l’intera barriera di separazione: una forma di resistenza all’accerchiamento.

“È nostro dovere mantenere il nostro rapporto con questa terra”, ha detto Samara. “Se smettiamo di muoverci, gli occupanti ne ruberanno di più”.