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Ciao Bobo, anima critica della sinistra, amico della bicicletta

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Foto Savian / Archivio BC

Sabato mattina, 21 ottobre, ci ha lasciato Sergio Staino, fumettista, giornalista, autore televisivo, scrittore. Ma soprattutto padre di Bobo, il personaggio – la fisionomia non a caso ispirata a Umberto Eco – anima critica di una sinistra che cominciava a perdere i suoi punti di riferimento, in una società che cambiava velocemente, e non sempre in bene. Sergio Staino, come tutti quelli di una generazione che aveva vissuto la guerra e il dopoguerra, era anche un grande amico della bici. Per BC aveva raccontato qualche anno questa passione a Marco Pastonesi, a una fiera era venuto a trovarci lasciandoci il segno – è la foto che vedete in apertura – di un piccolo Bobo.

Sergio Staino ha anche prestato la sua matita a Ediciclo, per la copertina – qui a fianco – del “Manuale di resistenza del ciclista urbano”. Insomma, era anche amico della bici di oggi, strumento di mobilità urbana. L’intervista su BC – la potete scaricare integralmente qui – corre però soprattutto sul filo della memoria, intreccia storia personale e storia d’Italia a partire dal momento del primo incontro di Staino con la bicicletta. Che avvenne in una domenica speciale, il 18 aprile 1948. Lo ricordava così: «Quel giorno si tenevano le elezioni politiche per rinnovare Camera e Senato. Da una parte la Democrazia cristiana, presieduta da Alcide De Gasperi, dall’altra il Fronte democratico popolare, che univa Partito comunista e Partito socialista, e il cui leader era Palmiro Togliatti. Noi si andava tutti – il nonno, il papà, la mamma, anch’io, che di anni non ne avevo compiuti ancora otto – vicino a Firenze, a votare, in bicicletta, in fila indiana».

Il ricordo si fa ancora più personale. «Strada facendo, ci superò un camion, carico di uomini e donne, lavoratori, che cantavano “Avanti o popolo, alla riscossa, bandiera rossa, bandiera rossa”. Uno di questi uomini ci apostrofò: “Signoroni!”. E aggiunse: “Da domani si cambia, la bicicletta la si prende noi”. Perché a quel tempo si era così poveri che la bicicletta era un lusso. Il nonno rimase zitto, forse sorpreso, forse imbarazzato, forse impossibilitato, in quel momento, a spiegare. Perché anche la mia famiglia andava a votare, compatta, per il Partito comunista». E invece? «Il giorno dopo, quando annunciarono la vittoria della Democrazia cristiana, in casa nostra tutti piangevano, tranne me. Avevo salvato la mia bicicletta. Mi era stata regalata dal nonno, ed era stata ridipinta, ovviamente, di rosso».

Era l’anno, ricorda Pastonesi, in cui Gino Bartali vinse, anzi, rivinse il Tour de France. E Staino, toscanaccio come lui. «Mi vantavo di avere i polpacci alti come quelli di Bartali, fiorentino di Ponte a Ema. Mi ero innamorato di una bionda, ai giardinetti vicino a Fiesole, e in bici andavo avanti e indietro, fra evoluzioni e acrobazie, quando rovinai tutto, anche me, in un ruzzolone. Mi sbucciai, mi ferii, e lei scoppiò a ridere. Fine del corteggiamento». Fine della bici? «Quella no. La usavo per andare al lavoro o in gita, la mattina presto, con la cesta di metallo e la merenda».